Premesso che in linea di principio non è vietato al cittadino avere opinioni personali di qualsiasi contenuto, anche dissonante dai principi costituzionali fondanti, né esprimerle, purché sempre con modalità non apologetiche, anche in punto di espressione di tali opinioni, più stringenti limiti possono essere imposti ai militari in servizio e ad alcune categorie di pubblici funzionari, con possibile rilevanza disciplinare della stessa; il che avviene laddove queste siano offensive di valori aventi medesimo rango costituzionale.
IL CASO:
Un appartenente alle Forze Armate, quale rappresentante sindacale, aveva rimarcato attraverso lettere anche alle più alte cariche dello Stato e interventi televisivi e on line l’elevato numero di suicidi in ambito militare, con formule lessicali utilizzate particolarmente forti e potenzialmente offensive nei riguardi degli alti ranghi militari, accusati di diffusi e non comprovati comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici nei riguardi dei propri sottoposti, di per sè idonei, per la diffusione mediatica appositamente riservata a tale esternazione, a ingenerare un clima di sfiducia e di sospetto nei confronti dell’Istituzione militare, e per tali ragioni sanzionato con la perdita del grado per rimozione.
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO:
In tale quadro, il comportamento del ricorrente, pur in linea teorica riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero di conio costituzionale, non appare scevra da possibili riflessi disciplinari, sia pure di gravità non tale da giustificare la sanzione irrogata, in ragione delle espressioni utilizzate in quanto potenzialmente idonee a minare indebitamente, in assenza di precisi riscontri, il clima di fiducia che deve accompagnare l’operato di una Istituzione militare nelle sue articolazioni gerarchiche.
CONS. STATO, SEZ II, 6 giugno 2023 n. 5566